domenica 30 giugno 2013

CHI LESSE NELLA PALLA DI VETRO?


Già nel 2012 qualcuno aveva fatto TANA!

Tornate un pochino indietro in questo blog, e precisamente al 3 dicembre 2012, e vi accorgerete che già si parlava di biogas!
Lo spunto partiva da una pubblicazione del comune (SEAP -  mai presentata a Magliano ma a Bastia Umbra) dove era previsto l'impianto che oggi è al centro della protesta popolare.




Ma la cosa più interessante e curiosa è che già da allora era stato individuato, nel 18° commento ad opera di un Anonimo emulo di Mago Merlino, un personaggio oggi diventato tristemente famoso per quanto riguarda il nostro territorio!
Guardate:

Inoltrateci il progetto e le relazione che vi ha fatto Stentellino della Convert e poi vi controbattiamo."



mercoledì 26 giugno 2013

LEGAMBIENTE BASSA SABINA


Questo è quello che dice il Circolo Bassa Sabina di Legambiente, la NOSTRA LEGAMBIENTE, quella che non ha interessi!

Viene così a cadere il "ditino" dietro al quale si nascondono gli amministratori consenzienti! 




lunedì 24 giugno 2013

STRAPPEREMO LE TESSERE

MAGLIANO SABINA. IL SINDACO: OK BIOGAS, LO DICE LEGAMBIENTE.

Sono sempre più spesso i sindaci di centro-destra ad appellarsi a Legambiente come alibi per non opporsi alle centrali a biomasse. "Se lo dice Legambiente che rappresenta la quintessenza dell'ambientalismo...". Il documento ufficiale sul biogas di Legambiente sta diventando il vangelo dei biogassisti. Solo che a furia di fare cose che di ambientalista non hanno nulla e di affaristico tanto il "sigillo"ambientalista di Legambiente è sempre più sputtanato. Intanto circoli e militanti no biomasse sono sempre più tentati di stracciare la tessera.

Vediamo il caso di un sindaco di centro-destra che nel 2009 ha sconfitto per la prima volta nella storia la sinistra nel suo comune e che era l'anima dei comitati antidiscariche. Ora per giustificare la non opposizione alla centrale a biogas si appella a Legambiente. 

Gli alibi dei sindaci (specie di destra): "se Legambiente dice che il biogas fa bene all'ambiente come posso essere contario?"



(23.06.13) MAGLIANO SABINA - Continua il dibattito sulla realizzazione da parte di un privato di un impianto a biogas in località Campitelli (i primi a prendere posizione - contraria - sono stati i rappresentanti dell’associazione Sabina Territorio e Ambiente). Gli allevatori si dicono favorevoli facendo finta di non capire che l'azoto nei digestati ci resta tutto e che i problemi di spandimento legati all'eccesso di animali allevati rispetto ai terreni disponibili restano. 
Il sindaco Alfredo Graziani che già aveva sostenuto che se l'impianto è "in regola" lui non può farci nulla anche  se non vede di buon occhio lo sfruttamento dei terreni agricoli per la produzione di energia elettrica.  Ribadisce, però,  che se da un punto di vista normativo l’operazione non contrasta con leggi e regolamenti l’autorizzazione a costruire che viene rilasciata dal preposto ufficio tecnico non può essere negata. La solita tiritera dell' "automaticità", del presunto valore di deroga assoluta agli strumenti urbanistici. In realtà la norma che favorisce il procedimento (nei tempi e nei modi) non abroga le leggi urbanistiche e sanitarie e lascia intatto il diritto dovere dei comuni di valutare la conformità con le scelte di governo del territorio e al sindaco di intervenire qualora la sicurezza o la salute dei cittadini fossero messe a repentaglio.
Ma ecco la perla del sindaco«Inoltre - spiega  Graziani - se l’impianto dovesse presentare anomalie che lo collocano fuori dalle regole, nessuno si sognerà di autorizzarlo». 
Ma in che mondo vive Graziani? Lo sa che i progetti spesso passano con macroscopici errori anche materiali, che gli enti che dovrebbero valutarli fanno finta di leggerli e se va bene si sforzano di fare qualche osservazione marginale. Lo sa che in questo far west delle autorizzazioni i suoi cittadini rischiano di essere seriamente danneggiati per la compiacenza con cui i progetti vengono valutati e che il suo dovere di tutelare gli interessi legittimi di chi rappresenta gli impongono di guardare dentro a fondo nel progetto anche se ha il placet di chi di dovere? Lo capisce Graziani che anche se ci si potesse fidare ciecamente di Arpa, Asl, soprintendenza, VVFF, ecc. ecc. il parere del comune va comunque reso in piena autonomia e responsabilità? 
Agli straordinari argomenti portati a sostegno del suo non opporsi alla centrale  1)il comune non ha alcun potere 2) se ci fossero anomalie non verrebbe autorizzato il sindaco ne aggiunge un altro basato su un assioma che non regge) ne aggiunge un terzo: se Legambiente che rappresenta per eccellenza l'ambientalismo (!?) dice che il biogas è amico dell'ambiente io che sono ambientalista mi adeguo. Eh già perché Graziani ha sconfitto la sinistra che governava da sempre Magliano grazie al suo impegno nei comitati contro le discariche e per l'ambiente. 

"In altre parole, io resto coerente col mio spirito di ambientalista e non mi rimangio le posizioni che mi portano a vedere di buon occhio tutto ciò che deriva da fonti rinnovabili. In sostanza è quello che sostiene Legambiente, l’associazione ambientalista per eccellenza in Italia». 


In effetti Legambiente (basta vedere sul sito) spiega di essere favorevole al biogas perché permetterebbe il rilancio in Italia di politiche organiche per lo sviluppo della produzione di energia elettrica e termica da fonti rinnovabili. Legambiente arriva a sostenere anche che è il biogas che rappresenta anche una grande opportunità per l’agricoltura e l’ambiente.

Ma non lo fa perché è a favore dell'ambiente. Quello che interessa a Legambiente è il profitto dei suoi sponsor, soci, partner. Attraverso società da essa fondate e gestite da suoi esponenti partecipa imprenditorialmente alla progettazione e realizzazione di centrali oltre che ad iniziative di comunicazione e propaganda a favore del biogas stesso in collaborazione con singole imprese, consorzi e associazioni biogassiste.
Legambiente è a favore del biogas perché è a favore della greed economy (economia dell'avidità) che evidentemente riempie le tasche di non pochi legambientini (non quelli delle ramazze e dei cappellini ovviamente).


http://sgonfiailbiogas.blogspot.it/2013/06/magliano-sabina-il-sindaco-ok-biogas-lo.html

venerdì 21 giugno 2013

DAL CORRIERE DI RIETI






NON RICORDIAMO IN CHE GIRONE DANTE LI COLLOCAVA...........



Poi non ci venite sempre a chiedere perché
  tiriamo continuamente in ballo il personaggio capolavoro di Collodi!


Non ci è sembrata una persona tanto contraria all'assemblea del 19 u.s., ne lui ne i suoi collaboratori, ne i suoi manovratori presenti nella sala!
(P.S. - E dell'assessore all'Ambiente. direttamente interessato dallo scempio ma probabilmente affetto da mutismo, che ne pensate?!)





giovedì 20 giugno 2013

QUELLO CHE NON VI DICONO SUL BIOGAS..........

..........in certe sale consiliari!


L'industria è molto abile nel vendere all'agricoltura le corde con le quali impiccarsi. Le 'soluzioni' offerte dall' high tech  sono pensate per rafforzare la subalternità dell'agricoltura. Intanto con il biogas che doveva 'sostenere il reddito agricolo'  gli affitti dei terreni schizzano alle stelle



Il biogas è una trappola per l'agricoltura

di Michele Corti



All'interno del mondo agricolo  le componenti meno appiattite e subalterne all'industria e alla Confindustria si stanno accorgendo che il biogas è un'insidia pericolosa per  l'agricoltura in generale. C'è ancora tempo per indurre le regioni a tirare il freno delle autorizzazioni e dei finanziamenti  concessi in modo sconsiderato dalle Regioni. Ora vi sono aziende che rischiano di chiudere perché il mercato degli affitti è drogato dalla corsa alla produzione di silomais da 'digerire.
Il biogas non ha nulla a che fare con l'ecologia. É solo un meccanismo per produrre profitti speculativi  approfittando di una situazione di incentivi anomali per le 'rinnovabili' in generale che non hanno alcuna possibilità di essere mantenuti nel medio-lungo periodo. É però anche un meccanismo pericoloso che mette in ginocchio l'agricoltura. L'Italia deve rimontare il ritardo nel raggiungimento degli obiettivi in materia di energie rinnovabili entro il 2020 e ha spinto in modo sconsiderato su esenzioni fiscali e 'certificati verdi' scatenando una vera e propria frenesia speculativa. Quanto la redditività sia legata al quadro legislativo lo ha dimostrato la legge 'finanziaria' del 2010 che sembrava volesse eliminare l'obbligo per il GSE, il Gestore dei servizi energetici, di riacquistare i 'certificati verdi' in eccesso. Poi un 'provvidenziale' emendamento  - che dimostra quale forza abbia acquisito la lobby delle 'rinnovabili' - ha ripristinato l'obbligo del ritiro a prezzo non scontato dei 'certificati verdi' (autore il Sen. Azzolini).


Nel 2011, però, la spesa per l’acquisto di certificati verdi dovrà essere del 30% inferiore rispetto a quella del 2010. L’80% della riduzione deve inoltre derivare dal contenimento della quantità di certificati verdi in eccesso. 
Qualche segnale che il bengodi non proseguirà così a lungo c'è già.


Un business per chi?
Per gli interessi che girano intorno al business del biogas ci sono già campanelli d'allarme. Diventerebbe più difficile senza la certezza delle super-sovvenzioni - pagate, non va mai dimenticato, con le bollette più care d'Europa da parte dei consumatori-sudditi - convincere gli agricoltori a creare 'parchi solari' o impianti a biogas se non c'è la certezza che al titolare dell'impianto possono disporre per 15 anni di certificati verdi' con 'mercato' (si fa per dire) sicuro.
Ma intanto i contributi a fondo perduto delle regioni (30% in regione Lombardia) ci sono ancora e il business 'tira'. Ma per chi? Per l'industria e vediamo come.
L'impulso al biogas 'agricolo' era venuto con la finanziaria del 2008 che prevedeva - per gli impianti autorizzati a partire dal 2008 -  un nuovo certificato verde 'agricolo' per la produzione di energia elettrica con impianti alimentati da biomasse e biogas derivanti da prodotti agricoli, di allevamento e forestali, ivi inclusi i sottoprodotti (residui delle colture, ramaglie e potature, liquami zootecnici, etc.) in cui i prodotti devono essere ricavati entro un raggio di 70 chilometri dall’impianto che li utilizza per produrre energia elettrica. Il certificato verde 'agricolo' è un certificato verde 'potenziato' con un coefficiente di 1,8.
Ma per i 'piccoli' (alla faccia!) impianti di potenza elettrica non superiore ad 1 MW, il produttore può optare  per una tariffa omniconprensiva (di prezzo energia e certificato verde) che è quella che ha di atto incentivato il business. La tariffa onniconprensiva equivale a ben 28 cent/kWh. Nonostante qualche segnale di futuri ridimensionamenti del business degli incentivi  la spinta al biogas è ancora fortissima. E le banche, di solito 'stitiche', in questo caso allargano i cordoni del credito con sospetta 'generosità'.
 
Il biogas è stato presentato come un'ancora di salvezza per le aziende agricole alle prese con redditività in calo. Un calo che è determinato da un'integrazione sempre più stretta e subalterna nelle filiere industriali e che alcune aziende hanno contrastato deintensificando, deindustrializzando la produzione agro-zootecnica, cercando vie di approvvigionamento dei fattori di produzione all'interno dell'azienda e sbocchi al di fuori del sistema dell'industria. Il biogas promette di sfruttare anch'esso le prospettive della multifunzionalità e delle filiere corte ma ... acquistando impianti e tecnologia dell'industria e ... vendendo alle società elettriche l'energia. Il fatto è che gli industriali non sono fessi e a questo punto il biogas se lo fanno in proprio. Così si scatena la corsa alla ricerca di terreni in affitto per produrre insilato di mais da 'digerire. I profitti speculativi ottenibili con i 'certificati verdi' fanno sì che 'i signori del biogas' possano offrire cifre spropositate. Tanto i costi sono riversati sugli utenti dell'energia elettrica. E così il consumatore viene spennato per rovinare gli agricoltori . E così si produce energia a costi cinque volte quelli dell'energia termoelettrica. Sì ma è 'pulita'! Manco per niente. Oltre a risparmiare solo una frazione di energia fossile la produzione in monocoltura del silomais ha impatti pesantissimi sul terreno, sulle acque superficiali, sulle acque di falda.

Speciale dell'Informatore zootecnico sul biogas


Piazzisti mascherati da 'tecnici', 'consulenti', 'esperti'.
Nella promozione commerciale degli impianti di biogas si sono distinte le riviste 'tecniche' dell'Edagricole. Questa casa editrice agricola  da tempo è stata acquisita dal gruppo editoriale della Confindustria. Ma non sono state da meno  quelle delle organizzazioni agricole e allevatoriali e le 'istituzioni' che hanno organizzato innumerevoli convegni e iniziative di ogni tipo per 'promuovere' presso gli agricoltori la 'soluzione' biogas, presentata come un'opportunità percontrastare il declino di redditività delle imprese agricole. La  'soluzione' proposta dai pifferai magici  impone forti investimenti in impianti e tecnologie industriali e la vendita dell'energia alle società del settore. Un modo per legarsi ancora più strettamente all'industria.
La via agroenergetica viene presentata in technicolor mentre quella dell'agricoltura e della zootecnia 'convenzionali' a tinte fosche (più nero che bianco, nonostante si parli per lo più di latte). Un anno fa (25 gennaio 2010) sul Corriere della Sera ('classico' portavoce degli interessi forti industrial-finanziari ) era apparso un articolo che ben rappresenta gli argomenti dei piazzisti del biogas. Viene intervistato un allevatore di Soresina (Cr):
"Con cinquanta tonnellate al giorno di biomasse vegetali, mais insilato, e in parte sorgo e frumento, Marco Pizzamiglio produce energia elettrica civile sufficiente a soddisfare il fabbisogno di 4.000 persone. «Con il mio impianto vendo energia elettrica - ha spiegato l' allevatore -. E poi cedo tutto al gestore dei servizi elettrici». Una scelta quella dell' agricoltore dettata da un futuro grigio. Il settore agricolo langue: «Basti vedere quanto viene pagato il prezzo del latte. Gli agricoltori sono molto penalizzati. L' ho fatto per il reddito, l'azienda non rendeva più. Ho capito che era il momento giusto per produrre energia. Mi sono reso conto che era impossibile fare solo agricoltura tradizionale o produrre solamente latte». Ed ecco la svolta: l' allevatore si è buttato sulle biomasse. «Perché l' ho fatto? È una svolta risolutiva, mi permette di mantenere le mie mucche senza l' assillo di continuare a dire chiudo, perché gli industriali non pagano il latte. Ora guardo avanti senza timori e vedo finalmente la luce in fondo al tunnel. E' stata una scelta meditata, ma felice»".

 Biogas agricolo? Non scherziamo: è anti-agricolo.                                                                     É triste che questa storia sia ambientata proprio a Soresina, al centro di un distretto lattiero 'storico' con la famosa Latteria Sociale. Possibile che nemmeno qui si sappiano trovare strade nuove per mantenere vitale l'economia zoocasearia?
Intanto la Coldiretti lancia l'allarme ed è lo stesso 'Agrisole' (supplemento del Confindustriale 24 ore) che in un articolo dei primi di novembre (vai all'articolo) riprende il grido di dolore ella Coldiretti: 'Affitti d'oro con il biogas aziende agricole cremonesi a rischio chiusura'.  
"l’avanzata di grandi impianti industriali rispetto a quelli medio-piccoli che affiancano l’attività agricola – spiega sempre Coldiretti Lombardia – sta generando una bolla speculativa sugli affitti dei terreni destinati al mais e alla segale usati come carburante energetico piuttosto che come foraggio per gli animali, facendo schizzare i valori da 500 euro a oltre 1.000 euro all’ettaro». Simone Solfanelli, direttore di Coldiretti Cremona, rileva addirittura picchi di 1.500 euro a ettaro e dà le stime delle superfici monopolizzate dal biogas in provincia: se ogni impianto di biogas si mangia circa 200-300 ettari coltivati a mais si arriva a un totale di quasi 25mila ettari destinati a usi energetici su un totale di quasi 54mila ettari investiti solo a mais. Questa crescita può avere un effetto stabilizzante sul mercato fondiario".
Ma fino a che punto è lecito considerare 'agricoli' gli impianti industriali da 999kW (ovvero al di sotto di un pelo di 1MW)? É evidente che le istituzioni e gli organi 'tecnici' hanno delle sepsse fette di salame (cremonese?) sugli occhi.
L'idea del biogas agricolo è nata tanti anni fa (qualcuno si ricorderà il 'Totem') per soddisfare i fabbisogni energetici delle aziende stesse e per 'valorizzare' i liquami che, già allora erano un problema. Non è nata per produrre energia elettrica da vendere utilizzando, come substrati energetici  coltivazioni  in competizione con la produzione foraggera e quella di alimenti per l'uomo. Invece è successo proprio questo. Quel biogas, quegli impianti non sono 'agricoli' sono 'anti-agricoli'.

Alla fine il biogas cannibalizza l'agricoltura
Gli scarti rappresentano una fonte di approvvigionamento aleatoria e i costi di trasporto limitano ad un raggio di 15 km la loro provenienza. Richiedono spazi per lo stoccaggio e accorgimenti per la loro conservazione. Vi è poi il rischio che al posto di materie di scarto vengano impiegati in modo poco corretto rifiuti più o meno mascherati. Quanto al liquame esso ha una resa molto bassa, una composizione variabile che non facilita l'impiego nei digestori. Per alimentare un 'piccolo' (in realtà grande) impianto da 1MW servirebbero i liquami di migliaia di capi di bestiame. Non parliamo del siero e di altri 'rifiuti speciali' agroalimentari che sono ancora più difficile da gestire degli 'effluenti zootecnici'.
Non meraviglia quindi che il biogas 'venduto' come soluzione per risolvere il problema dei liquami venga prodotto in impianti di biogas che - nella maggior parte dei casi - utilizzano solo materie agricole: mais, sorgo, frumento. Materie tolte dalla bocca degli umani o, quantomeno, dalla bocca delle vacche da latte. Nella pianura padana la produzione che fornisce le più altre rese per ettaro è l'insilato di mais e così, invece di usarlo per le vacche da latte, lo si usa per i digestori.
Per alimentare un 'affamato' digestore da 1MW serve ogni giorno l'equivalente di 1 ha di terreno coltivato a mais. Incauti e, diciamolo pure, creduloni e ingordi agricoltori se ne sono accorti troppo tardi. A loro spese.
Servono quindi centinaia di ettari da 'tirateinsieme' con terreni propri, in affitto, in concessione. In provincia di Cremona la SAU (superficie agricola utilizzata) è pari a 135.000 ettari (censimento 2000, ora sarà diminuita). Se anche si coltivasse tutta la superficie agricola della provincia per produrre energia non si otterrebbe che 1/4 dell'energia che produce una centrale termoelettrica come quella di Ostiglia (nella vicina Mantova) che non è neppure la più grande della Padania. In termini di energia netta (tenendo conto cioè che per produrre il mais ci vuole energia, per lo più fossile) le cose stanno però diversamente. Avremmo sostituito 25% del termoelettrico con energia 'verde' ma il risparmio di energia fossile non sarebbe 25% ma solo il 15%.

Speciale biogas di Terra e Vita


Gatti e volpi per intrappolare l'agricoltura
Che il biogas diventi una trappola per l'agricoltura e, soprattutto la zootecnia, se ne sta accorgendo anche qualcuno nel mondo zootecnico 'ufficiale'. Sull'organo ufficiale dell'AIA, (Associazione italiana allevatori): 'L'allevatore magazine', nel numero del 9 dicembre 2010, è apparso un significativo articolo dal titolo. 'Nelle stalle da latte la redditività è in calo'. L'autore, Claudio Destro, non è certo l'ultimo arrivato e non certo un anti-industrialista neocontadino arrabbiato. Tutt'altro, è il direttore generale della Matarrese spa, una delle più grosse aziende agricole italiane.  Destro nell'articolo individua come secondo fattore del rincaro del mais, che sta facendo lievitare i costi dele aziende zootecniche, proprio: "l'incontrollato proliferare degli impianti di biogas" e aggiunge:
"Le regioni dove è concentrata la zootecnia sono anche quelle dove è presente il maggior numero di impianti di biogas alimentati da effluenti zootecnici e colture energetiche (prevalentemente mais) che si sommano quindi agli allevamenti arrivando in alcuni casi ad essere in competizione. Ad oggi sono stimati 20mila ettari sottratti alla zootecnia e destinati alla realizzazione di impianti di biogas. Nella sola provincia di Cremona sono 30 gli impianti di biogas in funzione, 21 quelli in fase di costruzione e 26 in corso di autorizzazione". "Soprattutto nelle regioni a forte vocazione maidicola, il grosso impulso ricevuto dalla tariffa omniconprensiva, fa prevedere nei prossimi anni un raddoppio del numero degli impianti mettendo in serio pericolo una sostenibilità ambientale già insidiata con la direttiva nitrati accanto ad una preoccupante speculazione economica dei terreni agricoli, ed imprevedibili aumenti del prezzo del mais. Inoltre, occorre sottolineare il rischio per i tanti prodotti tipici, la cui filiera produttiva è legata strettamente al territorio, dove l'impiego dei foraggi provenienti dalle zone di produzione è uno degli elementi caratterizzanti".
Un quadro a tinte fosche che delinea con chiarezza in quale 'trappola' finisca l'agricoltura che cede alle sirene industriali e finisce per essere avvolta e stritolata nelle sue spire. Va osservato che l'apparire di voci critiche nell'ambito del mondo allevatoriale può essere letto alla luce della crescente divarificazione tra la Coldiretti (che negli ultimi anni ha rafforzato il controllo su AIA) dalla Confagricoltura ormai chiaramente lanciata verso prospettive di  identificazione con l'industria e la Confindustria. Non a caso Confagricoltura è l'unica organizzazione professionale a favore degli OGM e al proprio interno conta Agrienergia un'associazione di categoria/lobby dell'agroenergetico. Sul biogas, però, anche la Coldiretti è ancora ben lontana da assumere le posizioni chiare espresse nel caso degli OGM e sullo stesso 'Allevatore magazine' non sono mancati gli 'speciali' promozionali del biogas (tra l'altro lo stesso numero dove Destro attaccava il biogas ospitava la pubblicità di una primaria ditta di impianti, il che stona).

Una strada insostenibile dal punto di vista ambientale
Trappola economica dicevamo (con la lievitazione del prezzo delle terra e degli affitti) e con quella del mais? E dal punto di vista ambientale?. Innanzitutto va ricordato che l'efficienza energetica del mais da energia non è poi così alta dal momento che la coltivazione del mais assorbe parecchia energia (lavorazioni del terreno, concimi, chimici, diserbanti, irrigazione, trasporto). Nel caso dell'etanolo da granella per anni si è dubitato che il bilancio energetico fosse negativo. Recentemente il Dipartimento dell'Agricoltura americano si è assestato su una valutazione del 34% (impegni 100 di energia per ottenere 134). E con il silomais? Negli impianti di cogenerazione l'efficienza arriva al 50% ma se si produce solo energia è sul 20-25%. Quindi deve essere ben chiaro che l'energia 'netta' che si ricava è molto ma molto inferiore a quella prodotta e che quando si parla di tot KWh prodotti va tenuto presente che l'energia fossile ha una 'resa' netta infinitamente maggiore. A volte si rischia di dimenticarlo. La maggior parte dell'energia 'pulita' si ottiene utilizzando energia 'sporca'.




                           


Poi non si deve dimenticare che la corsa al biogas va a peggiorare il carattere di monocoltura della maiscoltura. Proprio a Cremona (e a Lodi) la monocoltura (monosuccessione ovvero mais su mais occupa già buona parte delle superficie agricole). Le conseguenze sono maggiore resistenza delle malerbe (e quindi più erbicidi), diffusione della diabrotica (insetto temibile che viene combattuto con gli insetticidi). Mais si mais significa elevate concimazioni chimiche, elevate irrorazioni di diserbanti, elevatissimi consumi idrici. Significa pesticidi nelle acque superficiali, nitrati nelle falde, peggioramento della fertilità e delle struttura dei terreni. E' una prospettiva sostenibile incrementare ancora la monocoltura maidicola per produrre energia?

Concludiamo riprendendo le parole di Destro:

"In questo contesto è opportuno l'intervento tempestivo di una politica in grado di regolamentare l'utilizzo di biomasse vegetali per la produzione di energia per non creare un conflitto che inevitabilmente porterà ad una drastica riduzione dei nostri allevamenti."


SERIO RISCHIO BIOLOGICO CON IL BIOGAS




Di bio nel business sporco del biogas c'è solo l'hazard, il rischio biologico. La proliferazione dei digestori alimentati con substrati di varia provenienza rappresenta una bomba biologica.


La co-digestione (biogas)

è un bioazzardo

di Michele Corti

La co-digestione di matrici organiche di ogni tipo, animali e vegetali, di Forsu e - come succede già in alcuni paesi - dei fanghi di depurazione delle acque luride pone gravi rischi di contaminazione, in primo luogo biologica, a carico dei terreni agricoli utilizzati per la produzione di alimenti per gli animali e per l'uomo.                                                                                                 In Europa sulla scorta della Danimarca, che sin dal 1989 si è dotata di una normativa sugli scarti di natura organica e il loro uso per compost e digestione anaerobica, la Svezia, l'Austria, la Germania e la Gran Bretagna hanno adottato regole che impongono trattamenti di sanificazione dei substrati che alimentano i digestori nonché determinate caratteristiche agli impianti (dotati di pastorizzatori)  e che introducono severi controlli microbiologici - mediante l'utilizzo di bioindicatori - su quanto destinato ad essere utilizzato come concime . L'Italia no. Come regola generale il digestato viene pastorizzato(70ºC per 1 h) ma sono ammesse anche combinazioni alternative di tempo e temperatura, ad esempio 55°C per 5,5 ore di digestione termofila. La normativa danese prevede trattamenti considerati equivalenti a quello standard (70ºC per 1 h)
   
  
Il giro di vite della Germania
Se è vero che la Germania è il paradiso del biogas (7.500 impianti) è anche vero che le preoccupazioni igieniche legate a questa proliferazione sono cresciute. Dal maggio 2012 l'Ordinanza sugli scarti organici tedesca (1998) è divenuta più severa. I digestati da digestione mesofila possono essere utilizzati come fertilizzanti solo se è stata applicato un trattamento di igienizzazione (pastorizzazione) pre e post digestione in una unità apposita dell'impianto con riscaldamento a 70°C per 1 ora.
Negli impianti a biogas termofili è sufficiente il trattamento termico nel biodigestore ma è necessario il controllo di organismi indicatori: Salmonella (patogeno umano),Plasmodiophora brassicae (patogeno vegetale), semi di pomodoro (resistenza dei semi delle infestanti). La verifica della sopravvivenza di questi organismi indicatori ènecessaria per controllare il tempo di ritenzione minimo. Vi è poi l'uso della sospensione di spore di Bacillus globigii come tracciante biologicoIn questo modo durante il processo vi è un diretto controllo del tempo di esposizione degli organismi di prova e può essere regolato il tempo di ritenzione adeguato per ogni singolo impianto. A quando in Italia?



 Moltiplicazione dei rischi
L'approccio tedesco è sicuramente più prudente di quello italiano (qui gli esperti - evidentemente non disinteressati - sostengono che il biogas è a emissioni zero e a rischi zero) ma gli studi dicono che non basta nemmeno pastorizzare substrati e digestati, che i patogeni animali e vegetali, i semi delle malerbe possono sopravvivere. E diffondersi. 
Quando ci vengono a raccontare che i liquami erano "meno sicuri" trascuramo un semplice fatto: i liquami potevano contenere una carica patogena ma essa ritornava sui campi dell'azienda o di aziende limitrofe (le botti non possono viaggiare a distanze superiori a pochi km sia per ragioni economiche che per prescrizioni normative). I digestati prima di tutto se ottenuti da processi di co-digestione possono presentare cariche anche superiori ai liquami come indicano le stesse ricerche de CRPA di Reggio Emilia (Veccia e Piccinini, 2011). Ma l'aspetto ancora più importante è che nei digestori finiscono scarti  provenienti da macelli spesso siti in altre regioni che a loro volta ricevono animali da molte aziende. Finiscono anche scarti di industrie alimentari varie ottenuti da prodotti animali e vegetali che spesso, prima di arrivare alle centrali, subiscono processi di degradazione spinta. I digestati, in forza del ridotto contenuto di umidità, sono suscettibili di più agevole stoccaggio, manipolazione e trasporto e possono essere destinati ad aziende in un raggio molto più ampio di quello dei reflui zootecnici tal quali. Morale: aumentano le probabilità che in entrata ci siano substrati contaminati e, in uscita, quelle di contaminare una grande varietà di terreni agricoli. È proprio vero che la società della tarda modernità è la società del rischio. Rischio come presupposto di profitto, rischio negato, rischio gestito da esperti di parte cointeressati al business con le agenzie governative a rimorchio.

Funghi, batteri, virus non sono inattivati completamente né dal trattamento di digestione anaerobia né dalla pastorizzazione
I virus sono in gran parte inattivati ma ve ne sono non pochi resistenti al calore.  Tra questi gli adenovirus e il virus dell'epatite A  (Gerba et al. 2001).  Monteith et al. (1986) hanno verificato che gli enterovirus e i parvovirus bovini sono resistenti ai trattamenti anaerobi mesofili e che il trattamento termofilo aerobio è di gran lunga più sicuro di quello anaerobio per inattivare questi virus. Derbyshire et al. (1986) hanno evidenziato come il trattamento di digestione anaerobia distrugga solo maggior parte dei parvovirus suini.

Animali a rischio
Quanto ai batteri patogeni va innanzitutto osservato che nel corso delle manipolazioni post-digestione vi è un potenziale rischio di ricontaminazione e ricrescita batterica. Per questo i digestati, anche quando risultato di un processo di digestione di substrati pastorizzati non possono, a dir poco, essere considerati esenti da rischi. In Svezia dove al problema della biosicurezza dell'uso dei digestati sono state dedicati molti studi. Leena Sahlström (2003) concludeva il suo studio sulla letteratura allora disponibile in tema di sopravvivenza dei batteri patogeni alla digestione anaerobica sostenendo che: "È difficile stabilire i rischi per la biosicurezza associati all'uso dei digestati come fertilizzanti, ma questo rischio non può essere trascurato". Gli studi successivi hanno confermato l'esistenza di un rischio concreto. Rispetto ai batteri patogeni va innanzitutto osservato che nel corso delle manipolazioni post-digestione vi è un potenziale rischio di ricontaminazione e ricrescita batterica. I digestati, anche quando risultato di un processo di digestione di substrati pastorizzati non possono essere considerati esenti da Salmonella sppo altri agenti patogeni (Bagge et al, 2005). Un problema ancora più serio e generale riguarda i batteri sporigeni (Clostridi, Bacilli) che, se presenti nei materiali organici in entrata sopravvivono anche alla pastorizzazione (Mitscherlich e Marth, 1984;Olsen e Larsen1987, Chauret et al 1999, Aitken et al 2005, Bagge et al. 2005).
Gli sporigeni possono costituire un problema igienico quando i digestati sono distribuiti su terreni seminativi e pascoli possono causare diverse gravi malattie (come lagangrena gassosa, che a volte è mortale specie nei giovani bovini ed ovini che pascolano su determinate aree infette) e altre (Hang'ombe et al, 2000Sternberg et al, 1999;.Wierup e Sandstedt1983). Tra gli sporigeni ve ne sono alcuni che non trovano condizioni molto favorevoli nel digestore (Clostridium chauvoei, che causa la già citata gangrena gassosa; altri, invece vi trovano condizioni ideali (Clostridium septicum eClostridium sordelii)(Schnürer e Jarvis, 2009). È interessante mettere in evidenza che in Svezia, dove il rischio di gangrena gassosa è relativamente elevato, è stata vietata la fertilizzazione dei pascoli con i digestati anche se sottoposti a pastorizzazione.  Ecco un primo esempio di precauzione.


Rischi (seri) ancora da accertare ma perché allora in certi casi si usano precauzioni?
L'infezione da C.septicum provoca edema e C. sordelli provoca infezioni delle ferite negli animali. Anche se durante la digestione anaerobica vi è una riduzione nel numero dei clostridi la probabilità di trovare organismi del genere Clostridium nel digestato è molto alta. Ciò perché molti sopravvivono comunque al processo e in parte perché l'intervallo tra un carico nel serbatoio di digestione e un altro non è sufficiente a consentire la loro eliminazione completa. Va tenuto presente che molte specie del genere Clostridium fanno parte della normale flora del digestore.
I batteri del genere Clostridium sono comuni nei reflui zootecnici e sono anche  presenti in numero relativamente elevato nei terreni (Gyles e Thoen 1993, del Mar Gamboa et al 2005, Songer e Post 2005). Così è per le spore di Clostridium botulinum (che causa botulismo) e di Clostridium tetani (che provoca il tetano). Non è però ancora chiaro se una concimazione con il digestato possa provocare un aumento del rischio di malattie causate da questi microrganismi. Come è noto, però, il prof Böhnel ha messo in relazione l'aumento di casi di botulismo con la diffusione delle centrali a biogas in Germania (.
Alcuni tipi di clostridi, che possono essere presenti  in rifiuti organici e nel processo di digestione anaerobica non sono, come già detto, organismi patogeni, ma sono nonostante ciò coinvolti nel dibattito sui rischi dell'utilizzo del digestato. Un esempio è quello del Clostridium tyrobutyricum, un microrganismo che pone problemi alla trasformazione casearia (Klinj et al 1995). Alte cariche di questo organismo nel terreno possono causare la contaminazione delle mammelle delle vacche o la contaminazione dei foraggi. L'organismo sopravvive nel tratto gastrointestinale della bovina e, attraverso le deiezioni, può contaminare le mammelle. Se questo organismo arriva a contaminare il latte e il formaggio causa problemi gravi, in parte perché sprigiona gas (produzione di grossi buchi nel formaggio) e in parte perché produce acido butirrico (conferendo un cattivo gusto). Secondo alcune indicazioni i foraggi (in particolar modo gli gli insilati) prodotti su terreni ripetutamente fertilizzati con liquami contengono cariche più elevati di questo batterio (Rammer e Lingvall 1997, Johansson 2008). Esso, tuttavia è naturalmente presente nel terreno e non vi è finora alcuna indicazione certa che l'uso di digestato comporti un aumento di problemi di caseificazione. Anche in questo caso però, proprio a casa nostra, nell'area di produzione del Parmigiano Reggiano, le pressioni del Consorzio hanno fatto sì che non solo non si possano utilizzare digestati ma che lì non si siano nemmeno potute impiantare le centrali a biogas. Un secondo caso di applicazione del principio di precauzione che, come si vede, vale solo per alcuni e per alcune aree.

I funghi: rischi per la salute e per le colture agricole
Anche i funghi anche formare spore e possono sopravvivere alla fase di pastorizzazione (Schnürer e Schnürer 2006). Pochi sono i funghi pericolosi per l'uomo e quindi non rappresentano un grande rischio per la nostra salute. Tuttavia gli aerosol di spore fungine possono causare problemi come irritazione delle vie respiratorie e allergie se la quantità di spore fungine è alta intorno a un impianto di produzione di biogas o in connessione con la gestione dei rifiuti o del digestato (Bunger et al 2000).
I funghi fitopatogeni provenienti da colture infette, utilizzate come substrato, possono essere presenti nei digestori. Studi su diversi agenti patogeni delle piante comuni dimostrano che di solito i funghi possono essere uccisi molto rapidamente nel processo di produzione di biogas e che la frazione che sopravvive alla digestione anaerobica (nel caso di carico troppo frequente del digestore) può essere neutralizzata con uno stoccaggio di qualche giorno successivamente alla digestione (Zetterström 2008, Haraldsson 2008). Tuttavia, è difficile valutare appieno i rischi della diffusione di patogeni vegetali poiché diversi funghi fitopatogeni sono difficili da coltivare in laboratorio.
Recentemente alcuni ricercatori tedeschi (Steinmöller et al. 2012) hanno verificato che un fungo patogeno della patata (Synchytrium endobioticum) l'agente eziologico della rogna nera (una malattia diffusa in Europa ma in via di regressione grazie a misure severe) è in grado di resistere con i suoi sporangi invernali a trattamenti termici drastici e quindi a sopravvivere alla digestione anaerobica termofila e alla pastorizzazione. Dal momento che gli scarti della produzione di patate sono una delle fonti molto abbondanti e comuni di substrati per la produzione di biogas il rischio che grandi quantità di digestati destinati ai terreni agricoli possano determinare un ritorno di fiamma di questa fitopatologia è concreto.



Conclusioni
Scarti animali e vegetali di vario tipo e provenienza, Forsu, fanghi di depurazione variamente mescolati rappresentano un cocktail molto pericoloso ma la UE frena su una normativa comune. Gli stessi esperti ritengono che si debba perseguire un certo livello di sicurezza ma ... senza esagerare. Colleman (2000) riconosce che: "il rischio di diffusione di agenti patogeni da una fattoria all'altra o da fanghi di depurazione di acque luride e dei rifiuti solidi urbani ecc.ai terreni agricoli esiste e va prevenuto" (tanto da ritenere auspicabile quella normativa UE che si aspetta ancora oggi) ma: "Tale regolamento o direttiva non dovrebbe essere così restrittive da frenare l'adozione del trattamento di digestione anaerobica per l'uso/riuso dei rifiuti organiciconsentendo il ritorno alla terra dei nutrienti inorganici e la produzione di energia rinnovabile". Di fronte alle esigenze di sicurezza si mette davanti Kyoto, l'effetto serra, la sostituzione dei combustibili fossili con energia "pulita". Peccato che non sia così, come anche la comunità scientifica si sta accorgendo (sempre troppo tardi, sempre in ritardo, sempre quando chi doveva ottenere i suoi super-profitti li ha ottenuti). Si mettono sul piatto della bilancia vantaggi ambientali inesistenti (in realtà ci sono impatti negativi ben reali) e, dall'altra, si chiudono gli occhi sulla biosicurezza.
Se questa è la situazione in generale in Italia le cose vanno ancora peggio. Da un lato si continuano ad offrire incentivi super lusso, pari a tre volte quelli riconosciuti in Germania, dall'altro non si applicano le norme minime sui trattamenti di substrati e digestati applicati altrove in Europa. Così l'industria germanica ci rifila tecnologie che le nuove norme (più severe) rendono colà meno redditizie.
Nessuno dice queste cose? Noi le diciamo. E troveremo il modo di farle sapere ai politici giusto perché non dicano: "Ma tutti gli esperti ci hanno detto che il biogas è una meraviglia".


Bibliografia
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giovedì 13 giugno 2013

SONO SOLO DEI " QUAQUARAQUA' "



GRANDE AMMINISTRAZIONE DI CITTADUCALE

Messaggero di Rieti del 13 giugno 2013

E' lo stesso T.A.R. che sbugiarda chi asserisce che i Comuni non possono fare niente e che devono dare le autorizzazioni per forza.
Questa è sicuramente la parola d'ordine di coloro che sono favorevoli o che sono proprio loro propositori dei progetti.
A Magliano, ora, a cose già avviate e autorizzate di nascosto, è quello che vanno dicendo!
Fara in Sabina, e ora Cittaducale, hanno dimostrato che non è vero. Loro si che si sono opposti, modificando addirittura il regolamento sanitario comunale.
Traete le vostre conclusioni maglianesi e guardate la foto di questo articolo: pensate che da quei camini uscirà aria fresca e salubre o "Eau de Chanel N°5"?
Molto presto, attraverso una dettagliata relazione di chimici ambientalisti, vi diremo noi cosa esce da quei camini e non solo da essi! 
E vi diremo anche quante autorizzazioni vengono trascurate per un sito come quello scelto nel nostro territorio che fa parte del Bacino Valle del Tevere ed Area Protetta sia da vincoli ambientali che archeologici.