venerdì 28 ottobre 2011

ARSENICO


Sono 128 i Comuni in Italia ad avere quantità di arsenico nell’acqua superiore agli standard imposti dalla Direttiva europea riguardante la qualità dell’acqua potabile. 91 di questi si trovano nel Lazio. Di questi, 22 sono in provincia di Roma, 60 nel viterbese e i restanti 9 in provincia di Latina. Ma la questione “acqua all’arsenico” parte da lontano, ed esattamente nel 2001, quando gli stati membri dell’Unione europea adottavano la Direttiva 98/83/CE, che impone un valore massimo di 10 microgrammi per litro di arsenico.

Le linee guida Oms e la Direttiva 98/83/CE – Nelle linee guida dettate dall’Organizzazione mondiale della sanità riguardo l’acqua potabile si legge: “Il valore guida provvisorio è di 0,01 milligrammi per litro (mg/litro), dove provvisorio si riferisce all’incertezza scientifica della pericolosità dell’arsenico per l’uomo”. L’Oms aggiunge che i livelli d’arsenico nelle acque naturali si attestavano tra 0,01 e 0,02 mg/l e che concentrazioni più elevate possono registrarsi in aree che hanno una struttura geofisica particolare. Infine, l’Oms riconosce che sussistono significative incertezze scientifiche riguardo il rischio cancro collegato all’assunzione d’arsenico e quindi il valore massimo di arsenico nell’acqua destinata al consumo umano resta di 10 microg/l. Concludendo, però, che laddove, per cause naturali, tali limiti non possono essere rispettati, i valori di arsenico devono essere mantenuti il più bassi possibile. Questo è quanto si legge nel documento ufficiale del “Drinking water qualità” dell’Oms, che attesta la pericolosità dell’arsenico nell’acqua. Ma bisogna fare un passo indietro e arrivare nel 1958 per capire come e perché, ad oggi, il Lazio, assieme a Campania, Toscana, Lombardia e Trentino è a rischio arsenico. In quella data, gli standard internazionali dell’Oms sulla qualità dell’acqua imponevano il livello massimo di arsenico attorno ai 0,2 mg/l. Tale restò fino al 1993, anno in cui l’Oms abbassò ulteriormente la concentrazione di arsenico a 0,01 mg/l nell’acqua destinata al consumo umano, sulla base del fatto che l’arsenico può essere altamente cancerogeno per gli esseri umani. In Italia la concentrazione dell’arsenico nell’acqua è dovuta essenzialmente a fattori geologici, poiché questo semimetallo si trova in natura nelle rocce e nei territori vulcanici, e quindi anche nelle falde acquifere che di questi teritori fanno parte. E’ bene ricordare che in Italia l’80% di acqua potabile viene da acque sotterranee. Dunque l’arsenico nell’acqua è un fenomeno più che naturale, soprattutto nel nostro Paese. Ma allora da dove nasce la questione?
Nel 1990 la Direttiva europea 98/83/CE riprendeva il valore contenuto nelle linee guida Oms del 1993 che abbassavano a 0,01 mg/l la concentrazione di arsenico nelle acque. Abrogava, così, la direttiva precedente (80/778/CEE), che imponeva un livello di arsenico al di sotto di 0,05 mg/l. L’arsenico, quindi, è il principale imputato di questo processo, ma anche boro è floruro sono sostanze pericolose per l’organismo, perciò soggette alle restrizioni previste dalla Direttiva.

Il caso Lazio – Arriviamo così al 2001, quando l’Italia recepisce la Direttiva con il Decreto Legge n°31 del 2 febbraio 2001. La Direttiva prevede la possibilità, per gli Stati membri, di stabilire deroghe ai valori di parametro, a patto che questa “non rappresenti rischi per la salute umana, che l’approvvigionamento delle acque potabili nella zona interessata non possa avvenire con altro mezzo congruo e che la deroga abbia durata più breve possibile”. La deroga dura tre anni e può essere rinnovata per altri tre. Così l’Italia stabilisce due deroghe.
Nel febbraio 2010 ne richiede una terza, stavolta alla Commissione europea, e il momentaneo (fino al dicembre 2012) innalzamento dei parametri a 20, 30, 40 e 50 mg/l. La Commissione risponde ad ottobre dello stesso anno non concedendo deroghe per i parametri di 30, 40 e 50 mg/l, ritenuti troppo pericolosi per l’uomo, e accettando la richiesta di deroga solo per i comuni che non superano il valore di 20 mg/l. L’acqua con questa quantità d’arsenico, precisa la Commissione, non deve essere distribuita ai bambini al di sotto dei tre anni e alle donne incinte. Inoltre ne vieta l’uso nell’industria alimentare. Quindi il Lazio, con 91 Comuni che richiedono un parametro di 50 microg/l, si ritrova automaticamente fuorilegge. Inizia così l’emergenza arsenico, con il via vai delle autobotti laddove i sindaci hanno dovuto chiudere i rubinetti.

Il problema della trasparenza – “Dalla fine della deroga, attorno al dicembre 2009, fino alla risposta dell’Unione europea, i Comuni hanno continuato ad erogare acqua con i valori della precedente deroga, grazie ad un Decreto ponte di proroga della Regione Lazio. In realtà la proroga della deroga è un passaggio poco chiaro, visto che lo strumento della deroga deve essere usato in via del tutto eccezionale e non deve essere la normalità”. E’ quanto afferma Astrid Lima, portavoce del Comitato acqua pubblica di Velletri e membro del Coordinamento nazionale enti per l’acqua pubblica. Velletri è un caso molto particolare dove le concentrazioni di arsenico nell’acqua sono molto alte, come del resto accade in tutta la zona dei Castelli, ma il problema più grave, secondo la Lima, è quello della non trasparenza: “negli ultimi otto anni, e cioè da quando Acea Spa firma con i Comuni dell’Ato2 e la Provincia di Roma la Convenzione di gestione, rifornendo di acqua la zona, i dati sulla qualità dell’acqua sono pressoché assenti. Quelli in nostro possesso sono forniti dalla stessa Acea, mentre i dati della Asl per i cittadini rimangono un gran segreto. Solo nel dicembre 2010 abbiamo avuto un accesso parziale ad alcuni dati, ma relativi solo a quel periodo”. E un gran mistero non svelato ai cittadini resta anche il Piano di rientro messo a punto dalla Regione per far fronte all’emergenza. Di “informazione insufficiente alla popolazione parla anche l’Istituto superiore di sanità all’interno della relazione destinata alle Asl laziali nel marzo 2011.
La gestione dell’emergenza da parte della Regione Lazio appare ai cittadini lacunosa e un po’ confusionaria, ma Renata Polverini, presidente della Regione, nonché commissario per l’emergenza arsenico, assicura che il Lazio tornerà nei limiti e che la scadenza della deroga il 31 dicembre 2012 “consentirà di procedere all’attuazione del Piano di rientro dei livelli dell’arsenico nei valori di legge”. Non ci resta che aspettare

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