domenica 9 ottobre 2011

PLASTICA KILLER



Il WWF lancia la campagna 'SOS Plastica': distrugge ecosistemi marini ed entra nella catena alimentare


Otto bambini su dieci nascono già contaminati dai flatali, le sostanze plastificanti più usate al mondo, che sono capaci di superare anche la barriera una volta ritenuta invalicabile della placenta e interferire con l'apparato endocrino e riproduttivo umano. Sulle coste dell'Europa mediterranea sono presenti più di 500 tonnellate di micro particelle di plastica, talmente piccole da poter essere inalate o assorbite dalla catena alimentare attraverso le specie viventi nel mare. Almeno 267 specie animali nel mondo presentano tracce di materie plastiche nel proprio stomaco, fra cui l'86% delle diverse specie di tartarughe marine, il 44% degli uccelli marini e il 47% dei mammiferi, mentre i quattro quinti delle tonnellate di rifiuti che invadono i fondali sono costituiti sempre da plastica. Questi sono solo alcuni dei dati sul potere di invasione della plastica nei nostri mari e sui suoi effetti sull'ecosistema e sulla nostra salute, resi noti ieri dal WWF al Salone nautico di Genova nell'ambito della campagna 'SOS Plastica'. Realizzato con la collaborazione multimediale di Yacht&Sail, il progetto ha raccolto numerose ricerche scientifiche realizzate da organizzazioni no profit come l'HELMEPA (Hellenic Marine Environment Protection Association), agenzie specializzate come l'UNEP (United Nations Development Programme), associazioni di ricerca e università come l'Ifremer (Institut français de recherche pour l'exploration de la mer) e l'Università di Liége (Belgio) e numerosi studiosi. L'obiettivo è tracciare una mappatura dello stato di inquinamento da plastica in mare aperto e soprattutto lungo le coste, dal momento che gran parte del problema deriva da meccanismi insufficienti o sbagliati di smaltimento dei rifiuti. La maggior parte delle discariche attuali infatti si lascia sfuggire, via vento, grandi quantità di materie plastiche che finiscono nei mari, per non parlare dei casi limite come il Marocco: lungo le sue coste settentrionali numerose discariche a cielo aperto riversano dalle scogliere tonnellate di rifiuti direttamente in mare. La maggior parte è plastica, in percentuali fra il 56% e il 78%. A dirlo sono i dati: la plastica, d'altro canto, non si distrugge col tempo ma si trasforma in materie sempre più piccole e sempre più pericolose perchè ingerite dai pesci, dagli uccelli, assorbite dai fondali marini. La plastica così concentrata infatti supera di milioni di volte la concentrazione normale nell'acqua, entrando nella catena alimentare: solo a largo dell'Isola d'Elba la spedizione M.E.D. (“Méditerranée en danger") 2010-2013 dell'Ifremer ha rilevato la concentrazione record di 892.000 frammenti per chilometro quadrato. Maglia nera al Mediterraneo che, ci rivela l'UNEP, presenta i fondali con più alta quantità di rifiuti di tutte le coste europee. Un problema particolarmente sentito in aree che costituiscono una piccolissima percentuale delle coste mondiali ma che accolgono ogni anno più di 220 milioni di turisti, che fanno lievitare le percentuali d'inquinamento soprattutto in estate. Si tratta di un problema che ha bisogno della collaborazione di tutti, in primo luogo dei cittadini che possono contribuire col proprio comportamento responsabile. Le istituzioni sono chiamate a intervenire per migliorare la raccolta di rifiuti ed evitare che siano raggiunti livelli tali di inquinamento da mettere in pericolo la salute nostra e di tutto il pianeta.

2 commenti:

  1. ma come è allora che gli esseri umani che vivono nei sistemi che voi dite più inquinati e/o inquinanti lo fanno molto più a lungo che in passato e con una salute che non è neppure paragonabile con il passato e con quella dei popoli che vivono in ambienti presso ché incontaminati

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  2. Sapete tutti benissimo che la vita media dell'uomo si è allungata grazie alla ricerca medica e le sue applicazioni, non ve lo devo dire certo io. Ne usufruiscono anche coloro che vivono in ambienti più incontaminati dei nostri, laddove arrivano le suddette moderne tecniche sanitarie.
    La vita breve alla quale si riferisce il precedente commentatore, è da attribuirsi a quei popoli che vivono nelle zone più sane ma più impervie del pianeta, e cioè foreste amazzoniche, africane, nel sud est asiatico, deserti e tutte quelle altre regioni dove la medicina moderna non arriva o non si vuole far arrivare. Comunque, queste popolazioni abbandonate, nella loro sfortuna contraggono meno malattie di noi, che le possiamo curare e possiamo "trascinarci" avanti negli anni.

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